ENNIO SPERANZA
Classe: 1950
Segno zodiacale: bilancia
Gelato preferito: limone
Hobby: associazionismo

Intervista di Luigi Frassinelli

Ennio Speranza con l’inseparabile moglie Gabriella Lot ha dedicato una vita al gelato artigianale; ora, da pensionato, insegna quest’arte alle nuove leve.

Dove è nata la passione per il gelato artigianale?
«La mia storia è strettamente legata a quella di mia moglie, iniziammo assieme nel 1974 in Germania ad Hannover, nella gelateria dei miei cugini già proprietari della famosa gelateria Zampolli di Trieste.
Succesivamente siamo stati proprietari per sei anni di una piccola gelateria a Saarbrucken e di un’altra più grande con otto dipendenti.»

Poi c’è stato il rientro in Italia…
«E’ stata una scelta per mettere la famiglia al centro; i figli crescevano e volevamo seguirli da vicino nella crescita e nell’educazione. Rilevai la gelateria Nettuno a Conegliano e ci rimasi per due anni.»

Quando nasce il primo “Re del Gelato”?
«Dopo l’esperienza a Conegliano, mi spostai in una bellissima località turistica: Lignano Sabbiadoro (UD). Lì ebbe inizio il mio brand di gelateria d’asporto “Re del Gelato” con dieci anni di attività. Nel 1993 mi avvicinai a casa, a Treviso, in una posizione centralissima, di fronte alla vecchia sede della Provincia. Poi a Trevignano. Nostalgico del mare e dei turisti tedeschi, sempre come “Re del Gelato” mi spostai successivamente a Bibione e aprii una nuova gelateria artigianale.»

Ora lei è in pensione, ma non ha abbandonato il mondo del gelato…
«È vero, sono ormai sette anni che mi dedico all’insegnamento, trasmettendo tutto quello che ho appreso in anni di onesto lavoro alle nuove generazioni. Sono un docente e insegno la professione di gelatiere presso: la “Fondazione O.S.F” di Pordenone, la quale organizza vari corsi di orientamento professionale. Insegno anche presso “Obiettivo Formazione” a Treviso. Come volontario per “Cooperativa Alternativa” ho aiutato a rinserirsi nel mondo del lavoro gli ex detenuti del carcere di Treviso.»

Nel salire sulla cattedra cosa ha provato?
«Ho un rapporto alla pari con i miei allievi, non voglio fare il professore, cerco di essergli amico e di trasmettere tutto quello che so sul mondo del gelato in modo che imparino un mestiere in modo professionale. Queste esperienze mi hanno arricchito moltissimo come uomo, mettendomi a disposizione di persone meno fortunate, ma con tanta voglia di riscattarsi.»

In questi anni com’è cambiata la professione di gelatiere?
«Io ho iniziato negli anni ’70,  sono passati quasi 50anni, e sono stati fatti passi da gigante. Nelle attrezzature che ti agevolano nel lavoro di produzione, nella gamma vastissima di materie prime che ti danno la possibilità di proporre diversissimi gusti nella tua vetrina. Il gelato di una volta era buono, ma non avevamo a disposizione i prodotti di altissima qualità di oggi: pistacchio nocciola ecc. Abbiamo migliorato il prodotto, ma si è persa quella passione che avevamo una volta…»

Che consigli darebbe a un giovane che volesse dedicarsi a questa professione?
«Metterei al primo punto la formazione, una volta non c’erano scuole o dei corsi di gelateria, oggi ne abbiamo tantissime e valide. Ci si tramandava il mestiere e quindi anche gli errori. Bisogna invece imparare cosa significhi bilanciare una ricetta, prendere dimestichezza con le materie prime e conoscerle nel dettaglio. Bisogna arrivare a crearsi una mentalità di artigiano di qualità, che produce il miglior prodotto sempre fresco con le migliori materie prime con l’obiettivo di soddisfare la clientela.
Poi sicuramente un’esperienza sul campo può aiutare a capire se questa che vogliamo intraprendere è la professione giusta per il futuro.»

Un settore che è alla ricerca di personale ma non lo trova…
«Un settore in continua crescita, che crea ancora posti di lavoro, che avrebbe bisogno di personale qualificato, ma che fa fatica a trovarlo. È una dura realtà, ma i nostri ragazzi cercano lavoro meno impegnativi, e questo è un lavoro che ti obbliga il sabato e la domenica. Girando nelle gelaterie vedo sempre più nei laboratori o al banco della vendita posti occupati da stranieri, forse una generazione di giovani che è disposta a sacrificarsi anche per necessità.»