Filippo Bano
è un gelatiere di successo, dal 1980 nella sua storica gelateria di Abano Terme ,
presenta prodotti tradizionali e innovativi, come i gusti alla frutta tropicale fresca.

Classe: 1958
Segno zodiacale: sagittario
Gusto di gelato preferito: yogurt
Hobby: sport

Com’è nata la passione per il gelato artigianale?
«Direi per caso. Tutta la famiglia dovette emigrare in Francia per seguire mio padre, chef di cucina, che lavorava nel mondo della ristorazione.
Nei fine pasto era solito proporre il gelato artigianale…
Nel 1968 fu eletto migliore chef di Francia. Dieci anni dopo, rientrato in Italia, avevo appena finito gli studi da ragioniere e in occasione di una fiera a Padova, conobbi un gelatiere, Paolo di Pietro, di Alberobello, che presentava una serie di gusti alle creme e sorbetti. La cosa mi piacque molto e mi entusiasmò, tanto che gli chiesi se mi avrebbe svelato i segreti del suo mestiere.
Così, per otto mesi, andai nel suo locale a Verona ad imparare l’arte della gelateria.
Seguendo il volere di mio padre, che voleva aprissi un’attività nel mondo della gastromia, il 6 settembre del 1980 ho aperto la Gelateria Delle Terme ad Abano Terme».

Come avviene la gestione del locale?
«La gelateria è aperta tutto l’anno ed è un punto di riferimento per la popolazione di Abano Terme e delle zone limitrofe; è meta di molti turisti che frequentano la nostra città per le cure termali.
Avere 300 posti a sedere comporta un grosso impegno nella gestione. Oggi un ruolo importante lo rivestono i miei due figli Andrea e Francesco e grazie al loro valido contributo riusciamo a soddisfare al meglio la nostra clientela.»

Quanti gusti e coppe di gelato proponete nel vostro locale?
«Abbiamo una vetrina con 42 gusti di gelato divisi tra creme e frutta. Per consumo, al primo posto, metterei un gusto molto classico: la vaniglia. In listino abbiamo 72 coppe di gelato che possono soddisfare anche i palati più esigenti. Se dovessi fare una classifica la coppa più gettonata è “Esplosione di Frutta”, una macedonia di frutta fresca con 3 tipi di gusti di gelato, decorata con panna montata e 10 tipi di frutta fresca.»

Da “impegnato” nel mondo associazionistico, che messaggio vuole lanciare ai gelatieri?
«Sono presidente del G.A (Comitato nazionale per la difesa e la diffusione del gelato artigianale di produzione propria) e consigliere di Artglace.
Nel mondo del gelato ci sono tantissime sigle e di fatto, sulla carta, hanno tanti associati, ma nella realtà coloro che partecipano attivamente in ambito associativo sono veramente pochi.
Dobbiamo imparare ad uscire fuori dalle mura del laboratorio, se vogliamo avere futuro, dobbiamo metterci in comunicazione tra colleghi, svolgere un lavoro di squadra e promuovere il nostro prodotto artigianale. Se invece ognuno di noi resta chiuso nella propria attività e non si confronta con i colleghi non riuscirà ad evolversi e di conseguenza anche il settore non crescerà. Essere forti e ben rappresentati, come lo sono altre categorie, farà in modo di condizionare anche le scelte politiche, non solo a livello nazionale ma anche europeo.»

Di che salute gode il gelato artigianale?
«Inanzitutto è un’attività legata alla stagionalità che ha degli alti e bassi per quanto riguarda gli incassi, dovuti alla situazione meteorologica. Però ci sono altre nubi che si addensano sul nostro settore; sarò più chiaro.
Le catene in franchising si stanno sempre più sviluppando, rosicchiando fette importanti di mercato…»

Questo perchè accade?
«E’ dovuto alla mancanza di normative che regolino il mondo del gelato; chiunque può fregiarsi del termine “artigianale”, e aprire un’attività facendola passare per tale anche se in realtà è industriale o semi-industriale.»

Cosa potrebbe fare il gelatiere per fronteggiare questa situazione?
«Dobbiamo imparare a comunicare, sembra una banalità ma non lo è. Dobbiamo comunicare la nostra filosofia di produzione, qualificare sempre di più il prodotto artigianale in modo che si distingua dal prodotto industriale o similare.
Valorizzare i prodotti del territorio, di quelle eccellenze che non sono replicabili: è valore aggiunto per inalzare la qualità del prodotto artigianale. Inoltre la gelateria si sta trasformando, non è più un’attività mono prodotto.
Il futuro sarà dolce e salato, solo così si possono affrontare anche i mesi di calo di consumo di gelato e sostenere i costi di gestione, sempre più impegnativi. Se si vuole rimanere sul mercato, si deve ampliare l’offerta avendo una licenza di bar aggiungendo un po’ di pasticceria e cioccolateria, riservando un po’ di spazio anche per gli snack. »

Come valuta la qualità?
«Il gelato artigianale sotto l’aspetto strutturale e salutistico è migliorato negli anni.
Ovviamente non possiamo permetterci di dormire sugli allori, perchè l’industria dell’ice-cream sta facendo passi da gigante per migliorare l’aspetto qualitativo.»

Perchè in Italia il classico locale di gelateria con posti a sedere ha lasciato il posto alle rivendite d’asporto?
«Sul territorio italiano i sono circa 38mila gelaterie, con un’apertura selvaggia di take-away che hanno fatto scomparire un po’ alla volta i locali tradizionali.
Sarebbe auspicabile un ritorno al consumo del gelato nei locali con posti a sedere.
E’ ovvio che questo tipo di attività implica degli investimenti maggiori di un chiosco d’asporto, ma se posizionata in una zona strategica e diversificando i prodotti di qualità proposti, potrebbe tornare in auge e dare delle ottime soddisfazioni economiche.»

Che rapporto c’è tra i semilavorati e il gelato artigianale?
«La collaborazione va sempre bene tra gelatiere e semilavorati di qualità.
E’ ovvio che l’artigiano più è professionale, cioè preparato e aggiornato con corsi di specializzazione, e maggiore sarà la sua conoscenza sulla manipolazione delle materie prime.»

Gelato artigianale è sinonimo di italianità?
«Direi proprio di sì, se parliamo di attrezzature e di materie prime per la produzione, le eccellenze si trovano nel nostro Paese.
Il gelato artigianale, e tutto il mondo ce lo riconosce, è made in Italy.»

Molti figli di gelatieri non seguono le orme dei padri…
«E’ una professione che richiede sacrificio; quando gli altri si divertono noi dobbiamo lavorare. Colpa della crisi, che attualmente non dà le gratificazioni che riservava anni addietro. Per cui molti giovani, forse troppo coccolati, non proseguono la professione dei genitori. Comunque, da un punto di vista d’insegnante in un centro professionale, sto notando che parecchi giovani si stanno avvicinando a questo settore con grande entusiasmo, e questo è un bene.»

Quali consigli per un giovane?
«La formazione è alla base di tutto. Non può intendersi chiusa in una settimana, ma in un percorso che deve durare almeno un anno. Fondamentale è la preparazione per affrontare il laboratorio di produzione, ma da sola non basta.
Per diventare un’imprenditore di successo, bisogna essere in grado di sviluppare un business plan, saper gestire un’attività e comunicare con il cliente.»

Rifarebbe questa scelta di vita?
«Sicuramente sì, mi diverte fare il gelato, mi è sempre piaciuto stare in laboratorio e trasformare le materie prime è la mia passione. E’ un settore in continua evoluzione… c’è sempre da imparare qualcosa di nuovo.»

©Foto Luigi Frassinelli